Note storico artistiche

COMMITTENTI E PROPRIETARI:

Le prime notizie riguardanti i rapporti della storica famiglia veneziana dei Navagero con il territorio della Marca Trevigiana risalgono al 1420, quando GIOVANNI NAVAGERO venne nominato Podestà di Treviso. Erano quelli gli anni in cui, alla tradizionale, quasi esclusiva cura dei commerci marittimi sulle coste adriatiche dell’una e dell’altra sponda, con particolare interesse per le coste istriano - dalmate, greche e cipriote, le attenzioni dei patrizi lagunari iniziavano a rivolgersi alle prorietà immobiliari in terraferma,  che esploderanno nel secolo successivo con la nascita in tali insediamenti di residenze di campagna di notevole livello artistico.

 

IL FABBRICATO DOMINICALE

Si accompagna sempre con edifici di servizio in cui  poter lavorare  e conservare la parte dei prodotti agricoli di spettanza del proprietario del fondo che vigila e sovente promuove le attività per la migliore e accorta coltivazione del fondo.

A tale proposito torna opportuno richiamare la suprema lezione di regole architettoniche di Andrea Palladio che, con la articolata descrizione dell’uso dei vari edifici che compongono la Villa, ha analiticamente trattato nei suoi QUATTRO LIBRI DELL’ARCHITETTURA.

Bisogna tuttavia giungere al 1576 per avere la certezza dell’esistenza a Rovarè di una residenza dominicale con i relativi annessi e pertinenze,quando

 

il 16 Luglio l’ ”Ill.mo et Ecc.mo” BERNARDO NAVAGERO

figlio di Bartolomeo, probabile nipote dell’omonimo ambasciatore,  cardinale e vescovo di Verona, detta le sue disposizioni testamentarie in “Villa di Roveré”, nel Trevigiano a favore dei figli maschi  Bortolo, Pietro ed Andrea, con legati a favore delle figlie Navagetta, Isabella e Francesca.

(Archivio di stato di Venezia, Magistrato Beni Culturali, Libro dei Privilegi, Busta n. 1194, carta 128/verso).

 

La campana dell’oratorio reca la data del 1595.

Nella sala a sud-est del piano terra della Villa sono state rinvenute tracce di affreschi a “grottesche” con colorazione variante dall’ocra al marrone che ricordano la decorazione dorata su cuoio, alla maniera di Cordova, di cui un esempio tuttora assai ben conservato, oltre a quello del Palazzo Ducale di Venezia, si trova nella Sala dei Rettori dello storico Monte di Pietà di Treviso.

Altre decorazioni ad affresco raffiguranti stemmi gentilizi, si trovano negli spazi di innesto delle singole travature nel piano terra.

La presenza di un decoroso edificio per la villeggiatura estiva a Rovarè dei componenti della famiglia Navagero che ebbe ad annoverare tra i propri membri personaggi insigni, nella politica, nelle armi,  nella diplomazia e nelle lettere,

può essere indicata intorno ai primi decenni del 500, con integrazioni e modifiche, anche notevoli, nei secoli successivi.

Non appare privo di fondamenti ipotizzare che abbia ripetutamente soggiornato nella villa di Rovarè il personaggio 

più noto della famiglia, quell’ Andrea Navagero, nato a Venezia nel 1483, poeta, umanista, grande oratore nonché collaboratore del “Principe dei tipografi”, Aldo Manunzio, dopo "classici latini", ambasciatore della Serenissima a Madrid ed a Parigi.

"Andrea Navagero e Agostino Beazzano in un dipinto di Raffaello"

 

Nella sua produzione letteraria, quasi tutta in latino

spiccano gli ” EPIGRAMMI”, che disegnano deliziosi quadri campestri, certamente ispirati alla vita agreste nei vasti possedimenti della famiglia nella pedemontana trevigiana, ma con particolare riferimento alla amena residenza di Rovarè .

Una notevole importanza viene ad assumere un volume catastale manoscritto, elegantemente rilegato in pelle,

esistente nella raccolta privata  dei precedenti proprietari del complesso, volume successivamente disperso.

Recitava il frontespizio:  - .. Vero dissegno et catastico delli beni dell’ill.mo et ecc.mo signor Andrea Navajer.

 

Anno Domini MDCCX.  Roverè campi trevigiani 268, 1\4. –

A corredo di un disegno molto preciso la descrizione catastale : “ Brolo Arativo, Prativo, Vitato con Palazzo Dominicale et sue Barchesse, Giardino Orto e tutte le sue abentie et Pertinenze, il tutto recintato di muro, sono campi 4 1\2”.

Nel disegno appariva la costruzione centrale formata da un singolo piano nobile rialzato a cui si aggiungeva un secondo piano con cinque finestre di ridotta altezza.

La presenza ben evidenziata dello stemma dei Navagero

al centro dei tre eleganti intagli lignei a motivi fitoformi che adornano, a mezza luna, i tre archi dello scalone in pietra d’Istria e lo stupendo caminetto con alzata in stucco con gli stemmi dei Navagero e Papodopoli nella sala a nord-ovest del piano terra, oltre alla decorazione in marmi policromi del ballatoio dello scalone, del tutto conforme, sia pure in più ridotte dimensioni rispetto allo scalone della “ Fondazione Cini” nell’isola di S. Giorgio a Venezia, parrebbero convalidare l’ipotesi di una matrice longheniana degli interventi effettuati nell’edificio centrale in epoca tardo seicentesca considerando altresì che nella medesima epoca l’insigne architetto era  impegnato nella costruzione della grandiosa  Villa da Lezze sempre in quel di Rovarè in area quasi contigua.

Curioso ed insieme affascinante è

il ricordo dell’ultimo esponente  della storica famiglia, legatissimo alla residenza di Rovarè, di cui chiamandolo “Nobiluomo Mauro Navagero”, attempato promesso sposo della Pisana”, Ippolito Nievo offre una romanzata, fuggevole, rimembranza nel suo capolavoro letterario: ” Confessioni di un italiano”.

 

Il vero “ultimo dei Navagero” si chiamava Andrea, nome ricorrente nella famiglia. Ricoprì vari, prestigiosissimi incarichi  nella vita pubblica della Serenissima fino a far parte al Consiglio dei Dieci e del Triunvirato al sommo delle sue magistrature; elargitore cospicuo di fondi soprattutto a sostegno della guerra del Peloponneso, dove la Repubblica cercava con sempre maggiori difficoltà, di mantenere le sue entrature commerciali ed i suoi privilegi territoriali.

Una scritta su piastra marmorea fatta apporre nella sacrestia della vicina chiesa di Rovarè dai nipoti Erizzo, subentrati nella proprietà delle sostanze, recitava con enfasi carriera e benemerenze del personaggio  

 

ANNO CHRISTI MDCCXIV/ANDREA NAUGERUS VIR. DE REP.OPT. MER./BELLO PELOPONESIACO PRAEGIP. MUNERIBUS FUNTUS/  POST INSULARUM PROCONSULATUM/ MIRUM ILLYRICUM REMIT/ FOROJULIENSEM VERO CAPESCIT/ PATAVINA GESTA PRETURA/ IN URBE SENATOR/ DECEMVIR TRIUMVIER QUA TOCA QUA SACO SEMPER/ PRO PATRIA VIXIT”.

 

Il testo della targa, con quell’accenno di inizio della vita pubblica a Cividale del Friuli (Forum Julij), venne rimosso dalla sacrestia della chiesa di Rovarè con i lavori di rifacimento della stessa nei primi del l’ Ottocento e collocate altrove.

Un certo prete don Luigi De Gobbis, con minuzioso interesse di storico locale, ce ne ha tramandato il contenuto nel voluminoso manoscritto: ”Collezioni di iscrizioni onorarie sacre e profane esistenti in molte parrocchie della diocesi di Treviso. Anno 1821” ora conservato nella Biblioteca Comunale di Treviso, manoscritto 1396 carta 125.

Il passaggio del complesso immobiliare di Rovarè alla storica famiglia dogale degli Erizzo, detti di San Martin della parrocchia veneziana di residenza e i cui membri maschi per tassativa disposizione dovevano chiamarsi tutti Nicolò, apportò notevoli migliorie al complesso immobiliare e nella conduzione del vasto possedimento agricolo di Rovarè, visto tuttavia in second’ordine rispetto alle enormi proprietà della famiglia  nella fertile pedemontana del trevigiano.

Si distinse in tale attività di intraprendenza costruttiva e migliorativa del complesso immobiliare di Rovarè

l’ultimo degli Erizzo, il “conte” dell’ Impero Austriaco Guido Erizzo,

in realtà Nicolò II, che era passato dal governo in caduta della Serenissima, all’invasione napoleonica,  alla sovranità asburgica con repentini processi di adattamento ed entusiastica adesione al “padrone” politico di turno, in piena consonanza con il fratello maggiore Andrea (Nicolò I) che dagli Asburgo, pagandolo profumatamente, aveva ottenuto il titolo di principe.


Infatti dai giovanili entusiasmi per le passate glorie della Repubblica e gli apporti ad esse del suo casato, in primis del doge Francesco Erizzo che eletto alla suprema Magistratura assai avanti negli anni caricò di entusiasmo le sue truppe veneziane nella difesa sempre più improbabile dei territori levantini, tanto da essere chiamato “Doge te deum” per gli inni di ringraziamento che faceva cantare in San Marco ad ogni minima notizia di qualche (effimero) successo e rinnovò con decisa intraprendenza costruttiva ed estetica l’appartamento privato del Doge in Palazzo Ducale 
Guido Erizzo si adattò ai vari cambiamenti politici non solo accettandoli, ma traendone di volta in volta sostanziali vantaggi.

 

Nel libro catastale intitolato “ Catastro e Disegni dei Beni fondi spettanti all’agenzia di Rovarè” approntato nel 1842 dal suo ormai vecchio agente, il “pubblico perito Agrimensore” Alberto Cian, di “ Sua Eccellenza l’Ill.mo Signore Guido Erizzo” si ricorda con enfasi la dignità di cavaliere dell’Ordine (napoleonico) della “Corona di ferro” e poi i titoli di Conte dell’Impero (asburgico), di Consigliere “intimo” e di gran Ciambellano dell’Imperatore, nonché di Gran Maggiordomo del Regno Lombardo Veneto.

Libro già nella raccolta Dalla Rovere-Bressanin, passato poi nell’archivio della Parrocchia di Rovarè e poi, con il cambiamento di un parroco, non più reperibile ma del quale, l’attuale proprietario della villa riuscì ad effettuarne una copia. Ma oltre all’adattamento ed al convinto ossequio agli invasori di turno, di Guido Erizzo si deve sottolineare, con la grande intraprendenza costruttiva, il deciso apporto che diede alla sistemazione dell’articolato complesso immobiliare ed all’ampliamento della notevole tenuta agricola di Rovarè.

"Disegno tardo settecentesco del complesso 
  immobile Villa Navagero

    - Autore Alberto Cian"
   (Dono del Barone Francesco Fioravanti Onesti)

 Particolare effetto scenico assume uno splendido disegno “a volo d’uccello” di un giovane” pubblico perito” Alberto Cian dove il complesso monumentale della Villa, delle Barchesse, delle immediate adiacenze, del curatissimo giardino barocco e degli orti, ci appare nella sua articolata, precisa ed armoniosa composizione. Il disegno, ora in possesso degli attuali proprietari della villa (per dono ricevuto dal Barone Francesco Onesti di Rovarè), reca nel frontespizio il titolo: ”In villa di Roverè,  sotto Treviso” e, sotto, la descrizione: “ Luoco Domenicale con fondo, Fabbriche, Giardini, Orti e Cortili di Ragg.ne del N.H. Guido Erizzo posto nella suddetta Villa”. Poiché il nome della località, da Roverè nel definitivo Rovarè, si affermò in occasione della concessione alla chiesa parrocchiale (curiosamente da parte dell’autorità civile come per la basilica di San Marco il titolo e la residenza patriarcale) del titolo di “arcipretale” avvenuta nel 1811, si deve dedurre che il disegno a pastello in questione sia anteriore a tale data.

Dall’immane cantiere di materiali edili che deve aver costituito, dopo il primo decennio dell’Ottocento, l’abbattimento della contigua Villa Da Lezze, capolavoro tardo seicentesco di Baldassarre Longhena e di altri insigni architetti, Guido Erizzo fa utilizzare per la sua dimora e per gli edifici di servizio che la attorniano, una enorme quantità di materiali.
Con alcune eleganti colonnine marmoree delle cedraie realizza un porticato di unione tra l’edificio padronale e la Foresteria, mentre i recenti restauri hanno evidenziato il massiccio utilizzo di materiali provenienti dalla demolizione di Villa Da Lezze per l’ampliamento dei rustici, cantine e stalle adiacenti ai corpi di fabbrica del complesso.
Al medesimo intraprendente proprietario si deve anche la costruzione “dalle fondamenta” nel 1818, come si legge nella targa dedicatoria, del nuovo oratorio nonché la raffinata sistemazione, nella Foresteria, dell’abitazione ad uso invernale, dove nel terrazzo alla veneziana fece inserire il monogramma “G.E.” e la data 1811 con il sovrastante stemma gentilizio degli  Erizzo.
Nel 1847, con la morte senza eredi diretti di Guido Erizzo, la proprietà ed i pertinenti vasti possedimenti terrieri, passano per successione al marchese Guido Bandini e da questi, nel 1850 alla signora Maria Gaspari Balolarini che nell’anno successivo, rivende l’intera proprietà a Nicolò dalla Rovere di Treviso che concentra il proprio interesse in via esclusiva alla conduzione dell’azienda agricola.
Sul finire del secolo la proprietà passa alla figlia Matilde Dalla Rovere.
Il 21 Ottobre 1968 il complesso di “Villa Navagero” con chiesetta, barchesse, rustici e giardino viene sottoposto dal Ministero della Pubblica Istruzione a vincolo ai sensi di legge 1 Giugno 1939 n. 1089 e subito dopo, le sorelle Bressanin, figlie di Matilde Dalla Rovere, vendono l’intera proprietà di Rovarè alla signora Tatiana Levada e quest’ultima, nel 1973, la cede a sua volta all’industriale immobiliare Gastone Gasparello che nell’Ottobre 1977, la cede agli attuali proprietari.
Prende avvio da tale epoca tutta una serie trentennale di interventi, sotto la guida della competente Soprintendenza, mirati al recupero e riutilizzo a fini abitativi delle vaste adiacenze già pertinenti la cessata attività agricola.
Si è trattato di un vasto ed impegnativo programma,  partendo dal restauro della enorme superficie dei tetti degli otto edifici facenti parte del complesso monumentale, del restauro degli stessi finalizzato al riuso a fini abitativi dei fabbricati già destinati all’attività agricola, del ripristino del giardino, del grande “brolo” con una superficie di due ettari, dei due lunghi viali a fronte sud ed a fronte nord dell’edificio centrale, dei cancelli d’epoca, del teatro verde, dell’arredo del complesso con ornati e reperti d’epoca, il tutto al fine di far rivivere, pur con differente fruizione, la storica dimora dei Navagero e degli Erizzo nella sua affascinante monumentalità.